Il mondo filtrato da una mascherina

Con la pandemia di Coronavirus la mascherina è entrata nella nostra vita e, unita al distanziamento sociale, sta cambiando tutte le nostre interazioni con gli altri. Chirurgiche, FFP1, FFP2, FFP3, la nostra lingua si è arricchita di termini che mai avremmo voluto utilizzare, ma la realtà crea il linguaggio e ha evidentemente un impatto psicologico. In che modo?


Con la diffusione del Covid la mascherina è diventata un accessorio costante nelle nostre vite e, a quanto pare, lo resterà per un po’.

Se vogliamo prevenire il contagio dobbiamo seguire il modello asiatico, ci dicono; per buona parte di questo vasto nucleo di popolazione, lungi dall’essere un obbligo o una nuova abitudine, è il risultato di un comportamento presente nel loro registro culturale. Da un lato, considerano mancanza di rispetto il fatto di essere malati (anche un semplice raffreddore) e contagiare gli altri se obbligati a condividere gli stessi spazi. Ma c’è un altro fattore: l’inquinamento delle grandi città asiatiche. Coprire il viso con una mascherina fa parte quindi della loro quotidianità.

In occidente, invece, essa fatica ad entrare, forse perché sopraggiunta con un’accezione negativa di paura, inquietudine.  E’ diventata una nota stonata nella nostra normalità. Ammettiamolo, è la metafora della pandemia attuale, l’icona che ormai ci accompagna e che ha alterato completamente la nostra visione del mondo lasciando una certezza nella nostra mente: quella del “tutto è cambiato”.

Adesso, ogni volta che usciamo di casa, oltre al cellulare, il portafoglio e le chiavi, dobbiamo aggiungere la mascherina. Non importa che sia chirurgica o FPP1, la vita non è più quella di prima, c’è questo elemento estraneo che la distorce.

Sappiamo che tutto questo è provvisorio. Diamo per scontato che, con il tempo, il virus che ha fatto irruzione nelle nostre vite sarà debellato. Troveremo il modo per affrontarlo e per recuperare, nella misura del possibile, la nostra quotidianità. Ma per il momento, dover includere questo elemento nella vita di tutti i giorni conferma la presenza del Coronavirus, lo rende evidente ai nostri occhi. Ci ricorda che ci stiamo difendendo da un nemico.

La mascherina altera la nostra percezione del mondo, ma ne abbiamo bisogno. Non sappiamo quale sarà la durata del Covid. Ignoriamo se questi dispositivi di protezione siano momentanei o dovremo rassegnarci a tirarli fuori in determinati periodi dell’anno o in precisi contesti.

In ogni caso, dobbiamo essere sempre pronti ad adattarci alle nuove situazioni. Dobbiamo capire anche che, indossarla, significherà andare incontro a nuovi equivoci nella comunicazione interpersonale, nuove crisi di identità.

Con la mascherina i tratti di metà del nostro volto spariscono: non abbiamo più un naso grande, piccolo o all’insù, un sorriso aperto, i denti storti. Siamo tutti uguali.

Dovremo essere più espressivi con gli occhi e con la voce per mostrare agli altri il sorriso nascosto e unico di ognuno di noi. Saremo più misteriosi e magari più affascinanti.

Inoltre, dobbiamo considerare che la comunicazione non verbale, che utilizza il linguaggio del corpo, passa per buona parte dalle espressioni del volto ma, privata di alcuni aspetti non verbali, come i movimenti della bocca, diventa più complessa, il messaggio più difficile da interpretare.

Si potrebbe asserire che la mascherina complichi il rapporto con l’altro che, di per sé, è già enigmatico, perché sappiamo che l’altro può mentire e che la comunicazione nasconde sempre un punto cieco che genera fraintendimenti e scivoloni. Coprire il volto introduce un ulteriore elemento d’angoscia quindi. Il potere del nostro sguardo può davvero fare la differenza. C’è un potere infinito nello sguardo. Sono i nostri occhi che raccontano a noi stessi, prima di tutto, ma poi anche al resto del mondo, quali sono le nostre emozioni, i nostri sentimenti, le nostre sensazioni. In questi tempi lo sguardo rimane il frammento di umanità di cui continuiamo ad essere testimoni e protagonisti.

La mascherina, quindi, è un pezzo della battaglia per riprenderci le nostre vite e bisogna fare pace con il fatto che impiccia, tiene caldo, impedisce il riconoscimento facciale dal cellulare e limita alcune nostre libertà. Però è indispensabile, lo spiega bene Paolo Narcisi: «La mascherina è un impegno sociale perché protegge gli altri da noi stessi, innesca una nuova coscienza sociale. È un gesto che serve a creare una protezione di gruppo ma solo se tutti lo facciamo correttamente».

Quindi, per essere chiari, abbassarla per parlare (abitudine capace di fare danni gravi), per fumare o indossarla come scaldacollo la rende inutile: viene meno a un impegno che abbiamo verso gli altri. La capacità di trasformare ogni cosa in abitudine ci farà superare le difficoltà pratiche, ma può essere molto più profondo il cambiamento a cui andiamo incontro vivendo gli spazi pubblici con la parte inferiore del viso coperta. La prima cosa che impari è che la mascherina non nasconde ma rivela, fa parlare gli occhi e non ci toglie la voce.

La comunicazione affidata agli occhi ci obbliga a una maggiore attenzione verso l’altro a metterci più sensibilità, a cominciare dal riconoscerlo. Vale in sala operatoria, ma soprattutto vale al supermercato, in strada, al bar, in ufficio. Se non è visibile un sorriso, saranno gli occhi a farlo, rassicurando o misurandosi con la persona che si ha di fronte.


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